Diario di Ugo/ 23. Annunci di lavoro

18 06 2014

annuncio-lavoroAnnabella ormai è solo un lontano ricordo. Mangio tanto cioccolato per tirarmi un po’ su. E faccio lunghe chiacchierate con Pirandello che sta ad ascoltarmi, senza battere ciglio. È uno dei pochi che mi sa ascoltare. Solo i Nonni e Pirandello sanno ascoltarmi. Oggi porto Pirandello dal veterinario per il vaccino. La dottoressa non appena lo vede mi dice che è un gatto grasso, troppo grasso. Ci vuole una dieta. Ma il povero Pirandello è grasso di costituzione, gli spiego. Non mangia poi tanto. Se è per quello, anche io ho messo su un po’ di pancetta. Pirandello viene pesato dalle amorevoli mani della assistente. Il gatto pesa più di 7 kg. La dottoressa scuote il capo e gli prescrive una dieta dimagrante. Pirandello la guarda contrariato. Non è d’accordo. Anche io non lo sono ma a nulla valgono le mie spiegazioni e il mio parere. La veterinaria si strofina le mani, chiede cento euro per la visita e non mi fa neanche la ricevuta.  Se lì dentro c’è un  grassone che si dovrebbe mettere a dieta, allora quella è proprio lei  dal momento che ha le sembianze di un’otaria in calore e il portafogli pieno di lavoro in nero. La dottoressa però non gradisce la mia arringa. Pirandello è vendicato, ma verosimilmente la prossima volta dovrò cambiare veterinario.

Messa da parte per un bel po’ la mia vita amorosa, concentro la mia attenzione a trovare un nuovo lavoro che mi possa garantire delle entrate maggiori, visto che il misero stipendio a progetto da correttore di bozze non mi basta più per mantenermi. Mi rendo subito conto che trovare un lavoro però è un’impresa immane.  Dopo aver passato un paio di giorni a rendere presentabile il mio cv, apro tutte le pagine internet con gli annunci di lavoro e comincio a inviarlo assieme a una bella lettera di presentazione. Giovane dinamico, paziente, volenteroso, di bella presenza, con laurea e conoscenza ottima lingua inglese, con esperienza, invia alla Vostra attenzione il suo cv per la posizione da Voi ricercata.  Invio il mio cv a decine di annunci, i più svariati. Poi ne invio a centinaia, a migliaia, e per non essere choosy, come pontificava la nostra cara Fornero, li invio per qualsiasi posizione lavorativa, anche quelle meno attinenti al mio percorso di studi, ma pur sempre dignitose. Non contento ci vado anche di persona e lascio il mio cv in sede, anche presso le aziende che non hanno inserito annunci di lavoro. Risultato: neanche una misera schifosa risposta, anche solamente per dire No grazie, non siamo interessati al suo profilo. No, silenzio completo. Fisso il telefono ma il telefono non suona e non si può far nulla per convincerlo. Pirandello mi guarda sconsolato o forse sono io che leggo nei suoi occhi il mio scoraggiamento. Poi capisco perché, nonostante i miei sforzi e tutti i cv inviati, siano passati già dei mesi senza che io sia stato contattato da qualcuno. Se si leggono attentamente gli annunci di lavoro, ti accorgi che in realtà le aziende stanno cercando persone impossibili, che non esistono nella realtà.  Cercasi laureato in materie linguistiche/letterarie (sì, e qui ci sono! bene!), per primi 6 mesi di stage retribuiti e possibilità di assunzione a tempo indeterminato. Il candidato deve avere un’ottima conoscenza della lingua inglese (perfetto, è il lavoro per fa per me!), e conoscere almeno altre due lingue tra cui tedesco, cinese mandarino, arabo, groenlandese o indonesiano dell’isola di Java del sud. (e qui si comincia a dubitare..). Deve aver maturato esperienza per almeno tre anni nella stessa posizione, conoscere alla perfezione il programma YRK (ma che programma è???!), essere in età di apprendistato e essere al di sotto dei 24 anni. Preferibilmente automunito, biondo, alto più di un metro e novanta, denti bianchissimi, scarpe misura 45. No ai perditempo.

E allora, come può non scapparti un sonoro Vaff in automatico, con tanto di eloquenti gesti accompagnatori? Mi chiedo, con annunci simili che speranze di essere richiamati per un dannato lavoro ci possono essere? Non puoi essere chiamato nemmeno per raccogliere la frutta o fare il cameriere! Così non mi resta che mangiare altra cioccolata e  ingrassare. Perché sono convinto che il segreto sta nel culo. Nella vita ci vuole culo. Tanto culo.  E mi rallegro, forse con tutta questa cioccolata potrò metterne su uno bello poderoso! Pirandello mi guarda e sembra sorridere.

Al diavolo la crisi economica!

EMS Giugno 2014





Diario di Ugo/ 22. Dalle stelle alle stalle

1 06 2014

stalleCapisci, Annabella? Non poteva funzionare tra di noi. I miei, tu e la tua famiglia mi avete coinvolto in questa storia ma la verità è che io non sono attratto da te. Mi dispiace, ma questa è la pura verità.  Spero che tu mi comprenda.  

Annabella mi fissa con uno sguardo vacuo e non parla. Mi fissa e vedo disprezzo nel suo sguardo. Passano dei lunghissimi minuti che mi sembrano ore e a parlare sono solo io. Cerco di indorare la pillola spiegandole le mie ragioni, spiegandole che è un periodo particolare  e che  per me è fondamentale avere una comunione di interessi e lo stesso modo di guardare al mondo. Lei passa ripetutamente la mano sui capelli e se li tira all’indietro nervosamente. Sembra stia per esplodere. Poi ad un tratto mi dice Ugo, te ne pentirai amaramente.

Di cosa mi devo  pentire, penso io. Mi sarei pentito del contrario. Non potevo più reggere questa situazione. Ma lei continua. Caro Ugo, per prima cosa mio padre farà ritirare alla Veltronelli la proposta editoriale per la pubblicazione dei tuoi racconti. Aveva messo una buona parola con la casa editoriale. Lui ha le giuste conoscenze, dovresti saperlo ormai,  e se pensavi di aver ricevuto la proposta solo per le tue capacità ti sbagliavi di grosso, caro mio. Benvenuto nel mondo reale, Ugo.  Questa rivelazione arriva come una coltellata al mio cuore.  Sono stato veramente un ingenuo a pensare di aver raggiunto questo traguardo grazie a ciò che avevo scritto e non grazie al padre di Annabella. Questa non me la aspettavo, ci avevo creduto davvero in questo mio piccolo successo personale. Certe cose succedono solo nei film e nelle fiabe, dovrei saperlo ormai. Ma sono pronto a pagare il prezzo amaro della verità, io non mi vendo di certo!

Qualche giorno dopo tutti mi fissano mentre cammino per strada.  La gente bisbiglia, la gente è cattiva. Riesco a captare pezzi di frasi riferite a me.  Ma ti immagini? Ha lasciato la figlia del Ferretti….un pazzo…un affronto…aveva un tesoro fra le mani…non è normale…ma è un uomo? Ora tornerà a essere una nullità.  Dalle stelle alle stalle.  Un cretino. Un poveretto, quell’Ugo.

Io non ho rimpianti, sono tranquillo. Certo, è fastidioso sentirsi additato e ancora più fastidioso sentire tutti quegli sguardi malevoli su di me. Anche la Veltronelli non perde tempo. Mi chiama e la signorina, che un tempo  era stata tanto gentile con me, adesso con voce alterata e in modo poco cortese mi avvisa che la casa editrice ha letto con più attenzione il mio lavoro e ha valutato di non essere più interessata a pubblicarmi. Annabella ha colpito. Ugo affondato. E Gilberto mi dice come al solito Io te l’avevo detto.

Se c’è una cosa che però bisognerebbe sapere è che, non appena c’è un fatto più succulento di cui parlare, ben presto le persone si dimenticano del vecchio pettegolezzo per dedicarsi anima e corpo a quello nuovo.  E mai avrei immaginato di dover aspettare così poco perché il nuovo pettegolezzo seppellisse quello su di me. A volte l’onestà paga, non sempre vince il male in questo mondo, per fortuna.

È mattina. Giornali e tg non parlano di altro. Il noto Ing. Ferretti è stato arrestato per corruzione e tangenti. C’è una indagine in corso anche sulla moglie, intestataria di alcune proprietà finite nel mirino degli inquirenti. Ma la moglie con la figlia pare siano scappate a Parigi prima dell’arrivo dei Carabinieri. Grazie a una soffiata, dicono.
Non credo alle mie orecchie. Mi arrivano decine di sms e messaggi su facebook di gente che mi conosce e si dispiace per l’accaduto. Io invece non sono per niente dispiaciuto. Hanno avuto ciò che si meritavano.

Tra questi messaggi ce n’è anche uno di Annabella. Dice di dimenticarla. Dice che mi capisce se io non mi farò più sentire e che starà via per tanto tempo, almeno fino a che non si saranno calmate le acque. Dice di non cercarla più. Per la prima volta non provo dolore per un addio.
C’è anche un messaggio di Gilberto. Secondo lui dovrei scappare anche io a Parigi e raggiungere Annabella. Secondo lui tra pochi mesi tutto tornerà come prima. Il padre di Annabella, anche se colpevole,  verrà scarcerato, assolto da tutte le accuse, e tornerà ad essere un uomo più rispettabile e ricercato di prima. Ed io che sarò stato vicino alla figlia in questo momento difficile avrò tanti onori e meriti, ci sarà solo da guadagnarci. Allora scrivo a Gilberto di andarsene un po’ a fank iu, come dico sempre io.

EMS, giugno 2014





Diario di Ugo/ 21.Mirare, fuoco!

2 05 2014

 

mirareIl mio telefono comincia a squillare.  

È pomeriggio e mi sono assopito per circa un’ora sul letto del mio antro. Il trillo prepotente mi sveglia e mi fa sussultare. Solo dopo qualche secondo realizzo che non si tratta di un sogno, e, se non è il caro Gilberto a chiamare, può trattarsi di una telefonata che potrebbe cambiarmi la vita. Ho mandato l mio curriculum a destra e a manca ma ancora nessuno mi ha contattato, manco per uno straccio di colloquio. Quindi ogniqualvolta suona il mio cellulare si riaccendono in me tutte le mie speranze. In genere però a questo segue sempre una doccia fredda. Oltre a Gilberto, a chiamare infatti sono i poveri centralinisti dei Call center. Quindi ormai cerco di non farmi più tante illusioni. Stavolta però il trillo ha un qualcosa di diverso, me lo sento. Ecco che le mie illusioni tornano a fare capolino. Non c’è niente da fare.

Pronto? Parlo con il signor Ugo Gudape? La chiamo dalla casa editrice Veltronelli. Abbiamo visionato la raccolta di racconti che lei ci ha inviato l’anno scorso e l’abbiamo reputata  interessante per una pubblicazione cartacea. Venga la settimana prossima in sede  per parlare della nostra proposta editoriale.

Ok, sono alle stelle. Non era una proposta di lavoro ma è quasi qualcosa di meglio. Sarò un autore pubblicato e questo è solo l’inizio. Le mie storie verranno lette da un vasto pubblico e potrò veicolare i messaggi che mi stanno più a cuore.

Adesso squilla di nuovo il telefono. Non posso sperare che la fortuna bussi due volte di seguito alla mia porta. E infatti ora è Annabella a cercarmi. Mi dice che sono l’uomo più  invidiato della sua Facoltà. Mi sento come un bambolotto, come uno stupido giocattolo nelle sue mani. Annabella è tanto presa da se stessa che non prova alcun interesse verso ciò che pensano gli altri.  Le parlo della proposta editoriale che mi hanno appena fatto e lei mi risponde che il fidanzato di Annabella Ferretti non poteva che ricevere una proposta simile.  Mi sento svilito e avverto come se il peggio io lo deva ancora scoprire. A me sembra un incubo e non so neanche come ci sia finito dentro. Non ricordo chiaramente cosa sia successo. Poi Gilberto mi dice che io l’ho baciata davanti a decine di ospiti a un evento mondano. Quello si chiama fidanzamento. Dannazione a me. Stavo meglio quando stavo peggio.  Urge una mia ribellione, devo assolutamente organizzare un piano di salvataggio.

Passano i giorni e Annabella comincia a fantasticare sul nostro matrimonio. Sarà la cerimonia dell’anno. Sarà sulle prime pagine dei giornali. Un evento da favola. Ci sposeremo nella Basilica del Capoluogo che con quella lunga scalinata bianca è uno scenario incantevole. Lei arriverà in chiesa su un (pacchianissimo) cocchio trainato da 4 cavalli bianchi. Io arriverò su un bellissimo cavallo nero (terribile!). Ci sposerà il Vescovo. Poi faremo un ricevimento da sogno. Centinaia di invitati fra cui le più grandi autorità. Il sindaco, il Presidente della Regione, tutti gli amici del suo papi. Tutta la gente che conta. Le amiche che deve far ingelosire e far schiattare dall’invidia. Un pranzo sontuoso, da mille e una notte, allieterà i palati di tutti i convitati. Poi, a fine giornata, partiremo per il nostro viaggio di nozze. Faremo il giro del mondo, ci prenderemo tutto il tempo necessario. Dovremo fare le cose in grande per non deludere le aspettative di chi attende tutto questo e altro da una che si chiama Ferretti. E il piacere più grande si proverà non durante il viaggio ma bensì nel momento del ritorno quando racconteremo le nostre avventure e potremo leggere nei loro occhi la loro grande invidia. Ovviamente non avremo figli. Lei mica si vuole rovinare il corpo con le gravidanze. E non è propensa neppure all’adozione. Si potrebbe ricorrere a degli uteri in affitto però.  Perché il papi vuole una discendenza di veri Ferretti e non di Dna a casaccio, preso chissà dove.
Annabella è un fiume in piena adesso. I suoi progetti assomigliano a quelli che i terroristi fanno per i loro prigionieri. Io non voglio finire in un campo di concentramento. Sì, urge un piano di evasione da tutto questo. Io voglio essere libero, non un loro prigioniero. Dove è andato a finire quel carro armato che ero sicuro di essere diventato?  Ugo, è arrivato il momento. Devi parlare ad Annabella e alla sua famiglia. Costi quel che costi.  Mirare. Fuoco!

EMS, maggio 2014 

 





Diario di Ugo/ 20. La festa

27 04 2014

 

photo_alcoolPer il mio compleanno, i miei genitori hanno organizzato una festa in grande stile. Mio padre ha pagato un servizio di catering che ha organizzato l’evento nel nostro grande giardino di casa. Io sono riuscito ad invitare alcuni amici ma al resto hanno pensato tutto Mamma e Papà. Ovviamente hanno invitato anche i Ferretti. Ora Mamma, addobbata di gioielli come un albero di natale, si pavoneggia con Madame Ferretti mostrando quanti inservienti vi siano in giro. Passano fra gli invitati con grandi vassoi pieni di pizzette, antipasti, caviale, dolci, bicchieri di champagne. È una festa all’americana. Forse al di sopra delle nostre possibilità. Ma Papà deve far colpo su Ferretti. Nel mentre ha scoperto che il fratello è un imprenditore di successo che ha fra le mani molti lavori importanti. Si tratta di un nuovo, possibile importante cliente, non può lasciarseli sfuggire per nulla al mondo. Ovviamente c’è anche Annabella. E c’è pure Gilberto. Pirandello ha preferito rimanere chiuso nella mia stanza, come me non ama molto la mondanità. Mio fratello è nel retro della casa a fare stupidaggini con i suoi amici di scuola. Io sono in piedi, vicino alla fontana. (sì, i miei hanno voluto una fontana e una piccola piscina per fingere di essere ricchi e rispettabili). Ho un calice di vino bianco in mano. Parlo con Gilberto mentre lui tracanna champagne a volontà e si ingozza di tutto quello che gli capita a tiro. Sembra siano passati secoli da quando ha mangiato per l’ultima volta.  Gilberto sembra un vero morto di fame. Io invece non ho fame. Sto bevendo per dimenticare. Voglio dimenticare le brutture di questa vita distorta. Davanti mi passa Madame Ferretti. Oggi, per l’occasione, indossa un lungo abito bianco con un corto strascico, impreziosito da alcuni diamanti. Gilberto viene rapito dal luccichio di quelle pietre. Anche la madre di Annabella non è niente male, esclama. Io bevo ancora altro vino. Oggi ho voglia di cadere nell’oblio. Butto il bicchiere vuoto su di un tavolo e un po’ barcollante mi dirigo dentro casa. Lungo i cammino incontro Annabella. Mi vuole parlare. Ci appartiamo in un angolo del giardino. Non sa da dove cominciare. Io ho solo voglia di andare a svuotare la vescica e di buttarmi sul letto per abbandonarmi al sonno eterno, senza più risveglio. Poi Annabella si confida. Si è innamorata di me. Mi ama. Sono l’uomo della sua vita. Ama il mio modo di ascoltare senza interromperla mentre parla. Ha visto quanto mi luccicassero gli occhi al Seminario sulle Costruzioni (ma erano lacrime). Sa indovinare quello che penso e vuole avermi tutto per sé. Insieme diventeremo la nuova coppia del jet set, saremmo il Re e la Regina del Mattone, dell’Architettura e dell’Edilizia. Io strabuzzo gli occhi. Sono mezzo ubriaco e mi gira la testa. In questo momento ho solo voglia  di andare a pisciare. Capisco la metà di quello che dice. Vedo doppio. Le sto per dire che tra di noi non può funzionare e che non è affatto il mio tipo di donna quando, sfidando la mia puzza di alcol, mi salta al collo e si lancia in un bacio appassionato sulla bocca.  Moltissimi degli ospiti presenti vedono la scena. Anche le nostre famiglie. Il giorno dopo io e Annabella siamo fidanzati ufficialmente. La foto di noi insieme finisce sulla prima pagina del giornalino massone del loro club. Tutta la Facoltà lo sa. Nel capoluogo non si parla d’altro. Tutti vengono a saperlo. Nonna Gudape è in visibilio. Ugo Gudape è ufficialmente fidanzato con la figlia del Ferretti.

EMS 2014

 





Diario di Ugo – 19/ Tramonti

28 03 2014

 

spiaggia-al-tramontoCon tutto il vino che ha ingurgitato il Ferretti, immagino che se lo fermassero a un posto di blocco sulla statale sicuramente non supererebbe l’alcol test, la cosiddetta prova palloncino. Ma poi mi convinco che lui di questi problemi non ne deve avere.  Ha di sicuro le conoscenze giuste per evitare qualsiasi sanzione. E’ il Ferretti, lui.

Gilberto mi invidia tantissimo. Quando gli racconto di come si è svolta la cena, sta ad ascoltarmi, con i gomiti sul tavolo e la testa un po’ inclinata e poggiata sulle nocche delle mani, attento e sognante come se il protagonista di quella storia fosse lui. Mi dice che vorrebbe esserci lui al mio posto. Annabella secondo lui è un bocconcino da non farsi sfuggire. Io penso che lui di donne non ne capisca niente. Si atteggia come se avesse conseguito un master sulla Donna. Per lui le donne non hanno misteri ma poi sul lato pratico è un vero disastro! 

 

Sono con Annabella a questo noiosissimo Seminario sui Materiali da Costruzione. Mi chiedo cosa ci faccia io lì. La situazione è preoccupante. Annabella pare visibilmente emozionata. Ha quasi le lacrime agli occhi quando sente parlare di materiali di rivestimento per interni o quando i relatori discutono dell’importanza di una giusta coibentazione delle pareti. La guardo e penso che in fondo qualcosa in comune ce l’abbiamo. La passione per qualcosa. Io ho la passione per le arti e farei carte false per vivere di sola arte. Lei invece ha la passione per l’Architettura e si emoziona di fronte al cartongesso come quando io mi emoziono per una bella poesia o un bel quadro. Mi viene solo il dubbio di quanto questa sua passione sia genuina e quanto invece sia stata imposta dall’alto. A me pare che Annabella sia una bella ma senz’anima. Vive come sotto un incantesimo. Le è stato detto e ripetuto, come una nenia senza fine, cosa le sarebbe dovuto piacere e cosa no, fino a quando non ha cominciato a crederci davvero. O forse non è così. L’unica cosa che so è che io non voglio fare la sua stessa fine e che una così non mi interessa.

Anche se Annabella un po’ mi fa pena. Vorrei provare a salvarla. O a vedere le sue reazioni in altre situazioni. Le chiedo se vuole unirsi a me per una piccola passeggiata serale al mare. Lei accetta senza fare troppi complimenti e questo mi fa ben sperare. Le mostrerò il Mondo e le aprirò gli occhi. Forse non è ancora perduta.

Arriviamo in spiaggia che è quasi l’imbrunire. Il momento più romantico della giornata. Il cielo assume tutte le gradazioni del viola, le nuvole sono rosa. Qualche coppia cammina mano nella mano mentre il loro cane corre veloce da una parte all’altra e gioca con le paglie marine. Il sole si sta per tuffare in un mare colore arancio per poi scomparire all’orizzonte. Gli uccelli volano via a cercare un riparo per la notte. Il rumore delle ondine che si infrangono in riva fa da supremo sottofondo a questa mia magica sensazione di totale annullamento in quello scenario da capogiro. Guardo Annabella e mi interrogo sui suoi pensieri. Mi chiedo se sia riuscito a farle provare ciò che sto provando io in quel preciso istante. Lei pare assorta e rapita da qualcosa di invisibile attorno a noi. Penso sia un momento catartico, la redenzione del suo spirito a cui viene rivelata per la prima volta cosa sia la bellezza della natura e la potenza delle sensazioni. Respiro a pieni polmoni quella aria salata che ci regala il paradiso. Inspiro, espiro. Ne sono completamente rapito.

Ad un certo punto Annabella si desta e mi dice che vuole mostrarmi una cosa che ha visto. Io comincio a fantasticare con la fantasia. Forse una bottiglia con un messaggio dentro che il mare ha reso dopo tanto tempo. Oppure più semplicemente una bella stella marina arenata sulla spiaggia. Mi trascina per un centinaio di metri e poi mi fa dare le spalle al mare. Davanti a noi sorge, abbarbicata lungo un costone roccioso che dà sulla spiaggia, una grande villa. E’ una villa elegante, circondata da un lussureggiante giardino a sua volta delimitato da una lunga recinzione. Annabella dice che ama quella muratura in trachite. E cosa dire di quel muro in cemento armato? Splendido. Le dà la pelle d’oca. Mi parla dei suoi sogni. Uno dei suoi sogni è quello di costruire una serie di grandi ville, quasi sulla spiaggia, alla maniera dei grandi architetti e di ingegneri europei. E magari costruire una serie di piscine lungo la spiaggia per chi non osa farsi il bagno o prender e il sole in mezzo alla plebaglia. Si potrebbero fare anche dei residence raffinati, per gente raffinata. E un piccolo porticciolo privato per le loro imbarcazioni. Peccato – continua- che le leggi non permettano adesso di costruire così vicino al litorale. Però mai dire mai nella vita. Le leggi si possono cambiare. I sogni esistono per essere realizzati.

Mi rendo conto che Annabella è figlia di cotanto padre. Diventeranno i distruttori del Mondo, altro che costruttori! Mi cadono le braccia. Ogni poesia è spezzata, bruciata in un baleno. Ma tengo tutto dentro, non commento. Faccio finta di niente e la riporto a casa. Lascio che si nutra della sua aridità. Io non sono come loro.

EMS

 

 

 





Diario di Ugo – 18/ La cena

26 03 2014

 

MattoneDal quel bugigattolo del mio antro sento delle voci. Sono di un uomo e di una donna. Due giovani. Mi avvicino alla finestra livello marciapiede, mio unico contatto col mondo esterno. E di nuovo vedo quelle scarpe.  Le riconosco, sono quelle della ragazza che tempo fa si era fermata a parlare con la signora petulante proprio davanti alla mia finestra. Riconosco le sue scarpe e la sua voce. Mi piace la sua voce, è dolce. Il ragazzo le sta giurando che le è stato fedele, che non è vero che l’ha tradita come le hanno raccontato le amiche. Lei gli crede, lo perdona e in punta di piedi si abbandona chiaramente a un abbraccio riappacificatore. I due poi vanno via. Quanto è dolce questa ragazza. E molto probabilmente anche un bel po’ cornuta, credo. Mi distendo sul letto e ascolto musica jazz. Ho creato un atmosfera elegante. Musica, luce soffusa, un buon libro. Pirandello mi guarda e con lo sguardo mi mette in guardia da Annabella e suo padre. L’amore non è merce di scambio. Non ci si innamora solo perché una persona è bella d’aspetto e ha un bel conto in banca e tante porte aperte dappertutto. Dico a Pirandello di stare tranquillo perché io non mi farò incastrare in questa trama di intrighi e potere. Siamo nel XXI secolo e queste cose non succedono più. No, Annabella non mi piace proprio per niente.

Arriva un nuovo messaggio da Gilberto. Da quando gli ho detto di Annabella non smette di trovare nuovi motivi per provarci con lei. Adesso dice: e poi c’ha un bel culo, devi assolutamente cuccarla! Tipico di Gilberto. L’atmosfera elegante se ne è andata così a quel paese.

Arriviamo al dunque.  La fatidica cena coi Ferretti è cominciata. L’ingegnere e mio padre sono a capotavola. La tavola è stata imbandita all’interno dell’elegante patio nel grande aranceto della villa della nostra famiglia. Un dolce profumo misto di arancia e gelsomino aleggia nell’aria. Annabella è seduta di fianco a suo padre, sua madre accanto a lei. A me hanno fatto sedere proprio di fronte ad Annabella, all’altro fianco di suo padre. Ho l’occasione di conoscere la madre. Mentre si parla, la osservo e la studio. Dicono che bisogna osservare le madri per capire come saranno in futuro le figlie. Sono un buon osservatore. A volte preferisco stare in silenzio e rimanere ad osservare ciò che mi circonda. La signora Ferretti è’ vestita in modo elegantissimo con un vestito da sera sul tono del rosa antico. E’ ingioiellata all’inverosimile. Gioielli pomposi, probabilmente d’oro zecchino. E’ ancora una bella donna e da giovane immagino fosse una bellissima ragazza, come la figlia. Si atteggia come fosse la Regina Elisabetta in persona arrivata fin qui a darci la benedizione regale. Parla molto e racconta che lei fa parte di una delle più nobili famiglie del Capoluogo. Racconta che loro frequentano spesso i salotti buoni della società e propone a mia madre di partecipare a un grande ed elegante evento di beneficenza a fine mese organizzato da una delle tante associazioni che lei presiede. Si meraviglia quando nota che siamo sprovvisti di servitù. C’è solo la povera Dolly che è rimasta in cucina, ma nessun maggiordomo a servire. Mio padre e Ferretti parlano di lavoro e ogni tanto si fermano a decantare le lodi del buon vino di cui stanno abusando un po’ troppo durante la cena. Mio padre è paonazzo e ogni tanto mi fa l’occhiolino. Poi mi fissa e con le testa fa dei movimenti quasi impercettibili indirizzati alla volta di Annabella. Mi sta incitando a conquistarla. Io tento di ignorarlo ma poi lui diventa più insistente. I movimenti della testa da impercettibili diventano molto visibili. Me ne vergogno. Per farlo smettere mi trovo costretto a cercare di intavolare una discussione con Annabella. La trovo molto algida. Non c’è calore in quello che dice. Ciò che dice è così meccanico e preparato che mi dà quasi fastidio. Non ha personalità. E’ cresciuta all’ombra del padre. Non ci sono argomenti, non c’è nulla che io possa avere in comune con lei. Annabella pare uno di quegli automi innamorati solo della Facoltà in cui studia e di ciò che ne consegue. Così parliamo di esami, di professori (che lei stima tutti davvero tanto), di progetti. Non progetti per il futuro ma progetti tecnici. Azzardo a parlare di viaggi e lei subito mi racconta di essere appena tornata dalla Spagna. Io non ci sono mai stato ma già sogno Madrid, Barcellona, Siviglia e loro bellezze. Almeno Annabella viaggia, penso. Poi aggiunge subito che era a Bilbao, la città del Guggenheim, per una interessantissima conferenza di Architettura post- moderna che lei non si poteva assolutamente perdere. Ecco che non si smentisce di nuovo. Torna sempre lì. Le parlo di musica ma pare essere non molto interessata. Comincia a guardarmi dall’alto in basso, come una Principessa con la puzza sotto il naso.

Pirandello, mentre ceniamo, sonnecchia su un cuscino riposto ai piedi del caminetto. E’ arrotolato su se stesso. La testa poggia sulle zampe anteriori. A un certo punto si accorge forse che lo sto osservando e apre quei grandi occhioni gialli. Poi li richiude lentamente. Adesso non ha tempo per noi, preferisce dormire.

Mio fratello Edoardo invece sta zitto tutto il tempo. Mangia la sua cena e appena può scappa via e si rinchiude in camera sua. In quel momento lo invidio tantissimo.

Ci si trattiene a parlare ben oltre la cena. Si fa tardi. Io non so più cosa dire ad Annabella. Non ci sono argomenti. Finalmente l’Ing. Ferretti si alza e la famiglia del noblesse oblige decide di accomiatarsi. Annabella mi saluta con una nuova stretta di mano vigorosa, quasi dovesse competere con me – in quanto uomo – in una prova di forza. Quasi come se volesse imporre, anzi, la sua superiorità. Mi saluta e mi invita a vederci a un seminario di costruzioni previsto per questo prossimo giovedì. Mio padre e mia madre sentono tutto e sono al settimo cielo. Per loro il fidanzamento si fa più vicino. Possono cominciare a pensare all’Ing. Ferretti e a sua moglie come futuri consuoceri. Io penso solo che tutto questo sia spaventoso. Vogliono manipolare la mia vita amorosa come hanno già cercato di fare con la mia vita professionale. Devo reagire subito questa volta. Non posso rimanere a guardare come fossi uno spettatore della mia vita. La vita è mia e – se permettono – me la voglio gestire io.  Anche a costo di sbagliare…

 

 

 





Diario di Ugo- 17/ Strette di mano

19 03 2014

stretta-di-mano-tra-uomo-e-donnaPassa qualche minuto e all’improvviso qualcuno bussa alla porta. Annabella entra con fare sicuro nella stanza. Veniamo presentati. Quello che si nota da subito è che è una ragazza molto bella. Ha dei lunghi capelli neri e lisci e due occhi colore azzurro cielo. Ha anche una stretta di mano forte e sicura, molto maschile. Indossa una collana di perle nere e degli orecchini abbinati. Il vestito è di un taglio elegante e un po’ troppo maturo per la sua età.  La voce però è quella di una quarantenne. Nell’insieme sembra molto più grande della sua età reale. Si mette in piedi di fianco al padre mentre lui siede ancora nella sua grande poltrona professionale. Mentre lui parla di lei, Annabella ci sorride e, infine, posa delicatamente la mano sinistra sulla spalla del padre. A quel punto si guardano in modo amorevole. Proprio un bel quadretto familiare. Ma c’è qualcosa che stona, non so cosa. Ad un certo punto mi si accende qualcosa in testa. La mia mente fa delle associazioni e ricordo di averla già sentita nominare. Lei è la famosa Annabella Ferretti (la Ferretti, come ho fatto a non pensarci prima?!), figlia dell’Ing. Ferretti, quello che è amico di tutti i personaggi più influenti del circondario. Lei è quella Annabella Ferretti che prende sempre e solo trenta e lode agli esami grazie alle conoscenze del padre. Lei è quella bella e impossibile per cui tutti sbavano. Lei è uno dei miti del campus universitario del Capoluogo. Una di quelle persone inarrivabili, che fa parte della crema della società cittadina. In poche parole, anche lei fa parte di quelle persone che mi stanno sugli stivali.

Arriva il momento del commiato e mio padre in uno slancio di entusiasmo invita il Ferretti e famiglia a cena per quel fine settimana. Così potranno continuare a parlare di lavoro e io ed Annabella potremo conoscerci meglio. Quando siamo fuori di lì, mio padre è in visibilio. Non sapeva che Ferretti avesse una figlia così bella e così brava. Pensa che Annabella sia quella giusta per me. Pensa che sia lei la donna che può rendermi felice. Devo assolutamente farle la corte. Non devo perdere l’occasione per conquistarla a cena, la devo fare mia. Non per niente ha invitato il collega a casa. Mi devo dare da fare con Annabella. Lei potrà solo portarmi dei benefici. Ma io non la amo e soprattutto non ho alcuna voglia di innamorarmi a comando in questo momento. 

La verità è che mio padre vuole decidere ancora una volta cosa sia meglio per me. Io penso che lui stia decidendo il meglio per sé. Mi sembra di essere in uno di quei romanzi dell’Ottocento. Viene combinato il matrimonio tra gli eredi di due nobili casate ma i due non si amano e sono costretti a unirsi contro il loro volere. Il protagonista o la protagonista combattono contro i loro stessi sentimenti e non accettano questa imposizione. Altrettanto farò io. Con Briciola sono stato cieco, lo ammetto.  Ma almeno lo sbaglio lo devo a me stesso. Non devo dare la colpa a nessun altro.

Quando Gilberto viene a sapere di Annabella incomincia a balbettare. Gilberto non balbetta mai ma Annabella è il sogno proibito di ogni giovane uomo del Capoluogo e il solo avere la sua attenzione per un po’ è quello che a molti di loro cambia la giornata. Anche Gilberto mi spinge a provarci con lei visto che ne ho l’occasione. Il fatto che io non la ami passa in secondo piano in situazioni come questa. Non sono obbligato ad amarla sul serio. Annabella oltretutto è un buon partito e con lei mi sistemerei perché il padre, l’Ing. Ferretti, è un uomo potente. Secondo Gilberto mi devo fare avanti. Certo, lui non potrebbe farlo perché a lui, Annabella, manco l’ha mai guardato in faccia per più di due secondi. Neanche per un saluto. Un saluto di Annabella è una benedizione. Io gli dico che ci siamo stretti pure la mano nello studio del padre. Gilberto balbetta e non riesce a finire la frase…





Diario di Ugo – 16/Annabella

14 03 2014

maschile-femminile-ingegnerUna mattina arriva mio padre nel Capoluogo. Ha un paio di impegni di lavoro e mi chiede di accompagnarlo, di fargli compagnia.  Fortunatamente ho la mattina libera e per quieto vivere e per fare felice mia madre accetto, seppure malvolentieri. Anche se mi rendo conto che la mia non è stata una vera scelta: la richiesta era, in effetti, più che altro un ordine.

A fine mattinata ci ritroviamo così nello studio di un suo carissimo amico, l’Ing. Ferretti, a cui sta seguendo delle pratiche giudiziarie. L’ing Ferretti è un nome molto noto in città. Adesso si sta occupando di un lavoro riguardante la costruzione della sede istituzionale di alcuni nuovi importanti organi regionali.  Mio padre lavora molto con questi personaggi che hanno a che fare col settore pubblico. Lo vedo al lavoro. Parlano di cose tecniche. Di capitolati d’appalto, di stati d’avanzamento, di prezzi, di materiali. Questo Ferretti non l’avevo mai visto ma già mi sta sugli stivali. Sta dall’altra parte della scrivania e ostina un atteggiamento da navigato professionista a cui nulla sfugge e per cui nulla è impossibile. Poi, ad un certo punto, mio padre accenna a Ferretti che nonostante tutto anche io avrei voluto studiare giurisprudenza ma non l’ho fatto solo per fargli un dispetto. E ho scelto inutili studi umanistici.  Ferretti mi guarda con uno sguardo di sfida e aggiunge che è normale seguire le orme di famiglia.  E’ un dovere. Ci sono intere famiglie di ingegneri e di avvocati, è un ruolo che si tramanda di generazione in generazione nelle più distinte famiglie della società. Ha usato le parole normale e dovere. Come se, di generazione in generazione, si tramandasse il gene dell’ingegneria e della giurisprudenza, come fosse un sangue reale che non si deve assolutamente disperdere scegliendo di fare altro nella vita. Come se si facesse parte di un ingranaggio. Quello che non mi torna in questo discorso è che per loro questa legge non c’era, non valeva. Nonno Gudape mica era un avvocato. Mio padre ha scelto di fare l’avvocato perché quello era il mestiere che sognava di fare. Nessuno lo ha obbligato, nessuno ha fatto pressioni. E chissà cosa faceva il padre dell’Ing. Ferretti, magari era un fruttivendolo. In ogni caso, se l’Ing. Ferretti voleva mettermi in imbarazzo ci è quasi riuscito. 

Ferretti poi si piega sulla scrivania e, sorridendo e abbassando la voce, con aria trionfante fa una rivelazione a mio padre. Sua figlia studia ingegneria e con profitto. Poi si rivolge a me e mi dice che probabilmente la conosco pure dal momento che abbiamo più o meno la stessa età. In quel momento è proprio nella stanza attigua che fa delle ricerche al computer per un lavoro. Lei lo aiuta di già nello Studio, infatti. Almeno non finirà a vivere sotto a un ponte, come rischiano di fare molti giovani ribelli di oggi. E mi guarda di nuovo. Ferretti prende il telefono e compone un numero interno. Sento gli squilletti intermittenti dell’interfono nell’altra stanza. Qualcuno risponde. Annabella cara, puoi avvicinarti un momento? Devo presentarti delle persone.

 —> continua





15 – Il Capodanno di Ugo – Seconda parte

29 12 2013

parigi_ugoSono in fila sotto la Torre assieme a Jackie.

Passiamo l’intera serata in fila. Una fila chilometrica. Cala il buio e cala un freddo cane. Mi sento come fossi in un ghiacciaio. Vedo i pinguini in fila davanti a me. Hanno cappucci, giacche e sciarpe. Camminano lenti verso la biglietteria. C’è la fila per i biglietti e c’è la fila per entrare. Poi la fila per salire sull’ascensore. Anche io sono un pinguino. Jackie è una pinguina dai capelli corvini. Io però soffro il freddo più degli altri. Sto per morire assiderato. Fortuna che Dio mi tiene in vita. Forse Dio sta progettando di far cadere l’aereo al ritorno e gli servo ancora vivo. Io e Jackie adesso siamo dentro. Finalmente siamo sull’ascensore verso la prima terrazza della Torre ed abbiamo di nuovo le nostre sembianze. Penso che la Torre vista da vicino sia molto più bella. Non è come sembra da lontano. Non è uno stupido ammasso di ferraglia. Mi sbagliavo. E’ bellissima, invece. E’ tutta illuminata, c’è tanta gente dentro. Persino dei negozi. Quando usciamo nelle terrazze ci trasformiamo di nuovo in pinguini. Batto letteralmente i denti per il freddo. Non mi godo il panorama. Giuro che la prossima volta che torno a Parigi, ci vengo a primavera con lo scioglimento dei ghiacci. Siamo sull’ultima terrazza, Parigi by night è così bella che cerco di scattare qualche foto. Ci esce anche un autoscatto di me e Jackie. Al negozio di souvenir compro qualche cartolina da spedire ai miei e una miniatura della Torre per mia Nonna che colleziona tutti i monumenti del mondo. Decido che una cartolina la spedisco anche a casa mia, indirizzata al mio Pirandello. Spero che mio fratello si stia occupando di lui al meglio come gli ho tanto raccomandato.

Sono passate molte ore. Ho già visto un importante pezzo di Parigi e sono contento. La Torre e i campi di Marte mi affascinano. Nei prossimi giorni Jackie lavora ma posso tornarci da solo quando voglio. Per la visita ai musei Jackie mi dà molti consigli e informazioni. Non è difficile spostarsi con tutte quelle linee di metropolitana. Sulla strada verso l’albergo compriamo due panini al prosciutto e formaggio e qualche bibita. Jackie non cucina. Menomale, penso. All’albergo ora non c’è Baffetti ma un altro tizio ha tenuto d’occhio la mia valigia per tutta la serata. La mia valigia pesa una tonnellata. Colpa mia che mi sono portato tutti i miei maglioni pesanti dell’armadio perché ho paura del freddo di Parigi. Io un freddo così non l’ho mai sentito da nessuna parte. E’ un freddo che ti paralizza. Mi paralizzo ancora di più quando scopro che il palazzo della mansarda di Jackie è un palazzo molto antico e non ha ascensore. La mansarda si trova al quinto piano e per raggiungerlo si percorre una ripida e stretta scala a chiocciola. Grido pietà mentre trascino la valigia su per i terribili gradini cigolanti. Più che maglioni pare contenga dei tonni belli grossi. Arrivo su senza fiato. Sono stanco e infreddolito. Debilitato e affamato. La mansarda di Jackie è una catapecchia. Fatta tutta di assi in legno, fili elettrici che penzolano dal soffitto e passano da una camera all’altra. Non ci sono finestre ma solo tre lucernari. Quel buco del mio appartamento al confronto è una reggia. Mi chiedo se in Francia questo sia tutto a norma. In Italia non penso.

La mansarda è composta da: una grande stanza dove trovano spazio la cucina e un letto matrimoniale sul fondo; da un bagno a cui si accede tramite una porta scorrevole; e da uno stanzino che Jackie usa come dispensa e dove ha sistemato un letto singolo. Ora non ho voglia di pensare. Mangio quel panino, bevo un sorso d’acqua. Mando un messaggino a mio fratello per dirgli che sono ancora vivo e per chiedergli del gatto. Breve passaggio al bagno. Indosso il pigiama e chiedo a Jackie se il mio letto sia quello della dispensa. Jackie mi dice che no, il mio è quello matrimoniale, ci dorme lei nella dispensa. Non ho voglia di discutere. Le do la bonne nuit e mi infilo sotto le coperte. Mi accorgo che c’è tanto freddo anche nella mansarda. Lo dico a Jackie. Forse ha una coperta in più, mi dico. Jackie esce dal bagno e mi dice che ha lei la soluzione. Mi dice di spogliarmi. Le dico che spogliarmi non mi sembra la soluzione adatta, anzi. Ma Jackie mi dice di fidarsi di lei. Mi fido. Mi spoglio. Ora sono nudo. Jackie si spoglia ed entra nel mio letto. Dice che mi scalderà lei. Vuole fare l’amore con me. Ma io non credo di amarla e glielo dico. Sono proprio un cretino romantico dal cuore spezzato e non amerò mai più. Allora chiamiamolo semplicemente sesso, dice. Non vuole che tocchi proprio a lei dover smentire lo stereotipo del maschio-marpione-seduttore  italiano con le straniere.  Così poggia le sue grandi tette sul mio petto e sebbene io sia stanco morto accetto di buon grado di essere riscaldato.  Le sue argomentazioni sono ineccepibili. E lo facciamo.

 Mi sveglio. E’ già luce. L’unica cosa che ho ancora addosso è l’orologio. Guardo l’ora, è ancora presto. Da qualche parte suonano LVie en rose. Forse l’ascolta qualche vicino di mansarda. Mi sembra di essere in un sogno. La musica accompagna i miei pensieri. Mi giro e Jackie dorme ancora. E’ completamente nuda e scoperta. Si vede che non soffre il freddo. La sua pelle candida contrasta con i suoi lunghi capelli corvini. E’ bella Jackie. All’improvviso il colore del cielo di Parigi fa capolino dai suoi occhi. Si sentiva osservata, dice. Sorrido. Lei sorride. Dice che vuole di nuovo fare l’amore con me. Subito. Appena sveglia, desidera questo buongiorno. Lo fa per me – dice – vuole riscaldarmi per affrontare meglio il freddo parigino che mi attende là fuori… Così lo facciamo di nuovo. E’ di nuovo bellissimo come ieri notte. Poi io mi infilo i calzoni e vado a preparare la colazione. Metto a scaldare il latte in un pentolino sul gas dei fornelli. Jackie mi raggiunge e mi dà le indicazioni per trovare il caffè nella dispensa. Faccio anche il caffè. Jackie ha una piccola caffettiera che non usa spesso ma per me va bene. Beviamo un caffèllatte italiano, come lo chiama lei. Poi mi spinge sul bancone e mi sfila i pantaloni. Vuole farlo di nuovo, questa volta sul bancone della cucina. Non è ancora sazia. Tre volte nel giro di un paio d’ore. Un record per me, penso. Da sfinimento. Ma non mi tiro indietro.

Oggi passo l’intera giornata al Louvre. Accompagno Jackie all’albergo e proseguo da solo un po’ a piedi e un po’ usando la metropolitana. Il Louvre è immenso e ci rimango un’intera giornata. Sono convinto di aver visto tutto ma poi mi accorgo di aver visto solo una piccola parte di questo grande museo. La Monna Lisa mi guarda da dietro il plexigas con sguardo beffardo. Sa tutto di me, penso. Sa della mia vita. Se la ride. La guardo e sottovoce le rispondo che non c’è proprio niente da ridere, cara Lisetta. Tu piuttosto, costretta a rimanere qui dentro, prigioniera di questa stanza, con tutta questa gente che ogni giorno ti guarda e ti osserva. Davanti a tutti questi flash, costretta a sorridere forzatamente a ogni scatto, anche quando non ne hai voglia. Un po’ di respiro soltanto la notte quando cala finalmente il silenzio. Dura la vita da star. Nella vana attesa che il tuo Leonardo ritorni. Dietro a quel sorriso credo proprio che ci sia tanta amarezza ormai. Lisa cara, pensa agli affari tuoi che ai miei ci penso io.

Nei giorni seguenti faccio il tour di tutti gli altri musei. Amo l’arte in tutte le sue sfaccettature. Una giornata io e Jackie la passiamo alla Reggia di Versailles. La temperatura è sotto zero e così anche gli zampilli delle fontane dei grandi giardini sono incredibilmente ghiacciati, bloccati nel tempo e nello spazio. Quasi non riesco a camminare, credo che anche il mio sangue sia lì lì per solidificarsi. Meno male che c’è sempre Jackie pronta a scaldarmi, in ogni momento della giornata.

Mi innamoro di Montmartre e del quartiere degli artisti. Pittori e disegnatori ad ogni angolo delle strade, un’atmosfera magica e di altri tempi. Mi sembra di essere finito in uno di quei romanzi del 1800 o inizi 1900. Forse con un po’ di fortuna potrei riuscire a imbattermi in Zola, Dumas, Hugo, Verne e chissà in quanti altri. E invece ci imbattiamo in un sexy shop. Jackie mi trascina dentro e passo dal pieno romanticismo all’esibizione di attrezzi per il piacere sessuale di vario genere. Jackie acquista qualche completo intimo particolare, questi sono commestibili, dice lei. Si possono mangiare. E così quella notte ceniamo a letto a base di biancheria intima alla frutta.

 Ed ecco finalmente il 31 Dicembre. L’anno è finito ed io e Jackie decidiamo di festeggiare l’arrivo di quello nuovo sotto la Torre Eiffel.

Ci sono migliaia di persone attorno a noi. La torre è bellissima, è illuminata a giorno e ci sono dei giochi di luce che la percorrono in lungo e in largo. Qualcuno scoppia dei petardi. Nel cielo invece fanno capolino a intervalli regolari dei bellissimi fuochi d’artificio. C’è polizia dappertutto e tanta gente ubriaca. In questa occasione speciale la metropolitana è gratuita e uscire dal sottopassaggio ha richiesto una buona mezzora, stipati come sardine manco fossimo ad un concerto degli U2. Sarebbe bastato un piccolo allarme per far sì che quel branco festaiolo mi schiacciasse come una formica. Arriva la mezzanotte. La torre si spegne all’improvviso, buio completo. Poi si riaccende di colpo, luminosa nella notte mentre impazza dappertutto l’allegria e coloratissimi giochi pirotecnici invadono il cielo di Parigi. Io e Jackie ci baciamo sotto la Torre. Io non la amo sul serio, e manco lei mi ama sul serio. È stata solo un’avventura. Mi accorgo però che questa parentesi parigina mi ha restituito la voglia d’amare, mi ha restituito la speranza che avevo quasi perso. Il vero amore mi aspetta. Grazie Jackie, tu e Parigi avrete sempre un posto nel mio cuore.

 Adesso sono di nuovo sull’aereo, di ritorno vero la mia bolla spazio temporale. Verso il mio purgatorio personale. Ricomincia il supplizio. Ugo ritorna alla missione. Ugo, telefono casa e Pirandello.

Incontro Gilberto all’Eat Parade. Non è solo, stavolta è in compagnia. Lei è una ragazza slavata, cicciotella, un po’ sboccata. Però è simpatica. Si chiama Livia ed è la ragazza che ha conosciuto nella chat. Gilberto ha lo sguardo trionfante, di chi mi vuole dire visto-che-avevo-ragione? Credo che a questo punto Gilberto debba avere qualche dote ben nascosta, molto ben nascosta. Li guardo e penso sia strano vedere Gilberto di fianco a una ragazza rimorchiata online. Mi chiedo, come farà Livia a sopravvivere alle battute, all’alito e ai baci di Gilberto? Forse anche Livia deve avere qualche difettuccio, deve essere un po’ pazza per stare con uno come Gilberto. Poi però mi accorgo di essere cattivo a fare questi pensieri, sono sinceramente felice per loro invece. Adesso, volente o nolente, c’è pure Livia nella mia vita, una nuova presenza in questo anno nuovo. Qualcosa comincia già a cambiare.  

L’indomani usciamo in tre a mangiare una pizza. Racconto del mio viaggio a Parigi, mostro loro le foto. Non appena vedono le immagini di Jackie vanno entrambi in visibilio. La mia ragazza francese è bellissima. Cerco di spiegare che Jackie è stata solo un’avventura ma anche Livia non mi sta a sentire e fa apprezzamenti pesanti sulle tette di Jackie. Ora capisco quanto lei e Gilberto si somiglino.

Mentre mangiamo ho la sensazione di essere osservato. Quando mi giro scopro di aver ragione. Al tavolo alle mie spalle vi è un gruppo di miei amici. Si tratta di Affy, Laura, Fotograffio, Ludmilla, Carla, Ben e Leonardo. Conversano amabilmente davanti alle loro pizze fumanti, è proprio una bella tavolata. Mi alzo per salutarli e per augurare loro buon anno. Ci scambiamo baci e abbracci. E’ davvero bello rivederli. E ci lasciamo con l’augurio di rivederci presto.

A fine serata, lasciato il locale Livia e Gilberto si uniscono a me per fare due passi nella notte. Tra di loro si scatena all’improvviso una poderosa gara di rutti. La birra e la cola hanno fatto effetto. Ora non ho più dubbi. Sono davvero fatti l’uno per l’altra…

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Ugo vi dà appuntamento al nuovo anno con le sue nuove avventure.  Buon 2014 a tutti! Che sia un anno di salute, successi e desideri realizzati! E che la crisi faccia finalmente un passo indietro. Ne abbiamo tutti veramente bisogno.  Enrico M. Scano





14. Il Capodanno di Ugo – Prima parte

28 12 2013

parigi-capodanno-4Sono sull’aereo, in partenza dall’aeroporto del Capoluogo. Volo diretto per Parigi. Mi aspetta un capodanno sotto il cielo francese, in compagnia della mia amica di penna Jackie. Non appena ha saputo del regalo dei Nonni non ha perso tempo e ha subito organizzato la mia vacanza. Sarà la mia guida, ha detto. Credo che i maschi italiani, anche i più cessi, destino sempre un certo interesse nelle donne francesi. Lo so, lo so, sono stupidi stereotipi! Il comandante informa che siamo pronti al decollo. Le hostess e gli steward si accertano che tutti abbiano allacciato le cinture. Si parte. L’aereo comincia a muoversi. Io mi sento mancare. Mi piace viaggiare ma non mi piace l’aereo. Io opterei per il teletrasporto, se esistesse. Pazienza per il rischio di smaterializzarsi. Io sono già smaterializzato. Adesso più che mai. L’aereo è arrivato sulla pista come avrebbe fatto una semplice auto ma muovendosi su tre ruote. Adesso prende la rincorsa. Comincia ad avanzare, va sempre più veloce. E’ davvero incredibile che nel giro di un paio di secondi saremo tutti per aria col vuoto che ci preme sullo stomaco. L’aereo si stacca da terra, voliamo verso il cielo. Io sono vicino a uno dei motori e sento tanto rumore. Mantengo gli occhi chiusi e le mani serrate sui braccioli ancora per un po’. E mantengo anche il respiro. Prima sceglievo sempre  il posto vicino al finestrino perché guardare dall’oblò mi regalava una certa sicurezza. Ora scelgo il posto sul corridoio dopo aver letto i risultati di una statistica effettuata sui sopravvissuti ai disastri aerei. Pare che la maggior parte di loro avesse il posto sul corridoio e abbiano potuto raggiungere più agevolmente le uscite di sicurezza. Tutte stronzate! Adesso sì che dovrei essere tranquillo. So pure dove sono le uscite di emergenza e so che sotto di me c’è un utilissimo giubbino gonfiabile. Meglio non pensarci perché è spaventoso. Quasi come la mia situazione. Penso che al mio ritorno sull’isola di Lost proporrò alle compagnie aeree l’uso del paracadute della Dharma Initiative invece che giubbini gonfiabili. Almeno se poi tiri il cordino una speranza di salvarti ce l’hai.

Usciamo dalla bolla spazio temporale della mia regione. Non penso al mio passato ora. Non penso a quel buco di appartamento, non penso a Briciola, non penso al libro che mi ha regalato Papà. Ora penso solo a Parigi. Penso alla Ville Lumière addobbata a festa. E’ la mia prima volta, non ci sono mai stato. Jacqueline, o Jackie come la chiamo io, mi aspetta.

Inganno il tempo del viaggio leggendo Chéri, il romanzo della scrittrice Colette. Leggo della passione scandalosa e impossibile tra il giovane Chéri e la più matura Léa. Chiudo gli occhi e immagino di incontrarli per le strade di Parigi.

Ora siamo quasi arrivati e il comandante ci avvisa di riallacciare le cinture perché è imminente l’atterraggio. L’ altro momento critico del volo che detesto perché ne ho paura. Meglio davvero correre il rischio di essere smaterializzati, dico io. Penso a quanti incidenti aerei siano avvenuti a volo quasi finito perché magari non si è aperto il carrello delle ruote o per una manovra sbagliata del pilota. E’ un momento delicato. Se il destino vuole tra un po’ saremo di nuovo tutti con i piedi per terra ed il naso all’insù a guardare quel cielo lontano dove fino a qualche minuto prima stavamo navigando. Se no, male andando, staremo bruciando tra le fiamme dell’Inferno! L’aereo si abbassa, vola in mezzo ai palazzi. Vedo distintamente case, tetti, finestre, porte, auto, persone. Tutto questo sembra quasi entrare nell’aereo. Ecco poi il rumore metallico del carrello-ruote che si apre. L’aereo pare rimbalzare su quella pista, più e più volte. Io ho gli occhi chiusi, le mani serrate. Spero che se esiste un Dio allora non desideri un incidente proprio adesso. Magari al ritorno. Ma non ora. Adesso devo godermi almeno Parigi e conoscere Jacqueline che io chiamo Jackie. Magari al ritorno, ma non ora. L’aereo comincia una tremenda frenata, le ruote stridono sull’asfalto. Poi si ferma di botto e mi ritrovo con la faccia sul sedile che ho di fronte. E’ finita. Siamo arrivati! Che la mia vacanza abbia finalmente inizio!

L’aeroporto Charles de Gaulle è un grande aeroporto. Sono in attesa del mio bagaglio che ancora non si vede. Mi sento in un’altra dimensione. Sono lontano da casa. Lontano dalle mie non scelte. Momentaneamente sono un uomo nuovo. Diverso. Libero.

Non conosco l’aeroporto e non so bene di preciso dove mi aspetti Jackie. Sa che arrivo a quest’ora e viene a prendermi. Ma non so dove. Comunque la riconoscerò. Spero che le foto che mi ha mandato ritraggano proprio lei e non una sua amica.

La mia valigia verde speranza ha fatto capolino sul nastro trasportatore. Mi sporgo per prenderla e perdo l’equilibrio. Cado sul nastro trasportatore proprio sopra la valigia. Tutta quella gente attorno  ride di me  un po’ in italiano e un po’ in francese mentre sono a gambe all’aria sul nastro e vengo trasportato con la valigia inesorabilmente dentro il tunnel. Non riesco a muovermi e la valigia pesa una tonnellata. Colpa mia che mi sono portato tutti i maglioni pesanti che ho perché ho paura che faccia freddo a Parigi. Quelle facce sconosciute mi guardano come un bagaglio non loro e ridono. Il tunnel è vicino. Sto per essere inghiottito. Sta per avvenire il peggio quando una mano amica mi afferra al volo e mi salva in extremis.  La riconosco, è proprio Jackie. Una sua cara amica lavora all’aeroporto e l’ha fatta sgattaiolare dentro per venire a darmi il bienvenue.  Che fortuna! Ora è tutto un comment ça va, comment ça vas tu e tanti bisous.

L’auto di Jackie è una piccola utilitaria gialla. Lasciamo l’aeroporto e ci immettiamo sull’autostrada. Lei parla mentre io mi guardo attorno. Capisco la metà di quello che dice. Il paesaggio ai lati dell’autostrada non è molto diverso da quello delle nostre autostrade italiane. Prati, tralicci, corsi d’acqua, capannoni, industrie. Poi palazzoni di periferia, grandi slarghi, passaggi a livello. In lontananza vedo qualcosa che svetta su tutto il resto e riflette la luce del sole. Jackie dice che quella è la Torre Eiffel ma io non ci credo. Quell’ammasso di ferraglia grigio che vedo laggiù non può essere la Torre Eiffel. Se quella è la Torre Eiffel allora sono già deluso. Non è come la immaginavo.

Jackie corre. Sorpassa bus, sorpassa camion, sorpassa auto e corre. Corre e scala le marce della sua utilitaria gialla che non ho capito ancora che modello sia.

Jackie ha una decina di anni più di me e non ha un fidanzato. Ha i cappelli corvini, lunghi e grossi. I suoi occhi cerulei si confondono col colore grigio del cielo di Parigi. Indossa uno scamiciato nero con una ampia scollatura dalla quale si intravede il seno – che è tanto grosso- ed una cintura marrone all’altezza dei fianchi. Ha due tacchi vertiginosi che però non le impediscono di guidare. Alle orecchie pendono due orecchini con la bandiera italiana. Li ha messi in mio onore, suppongo. So che lavora in un piccolo albergo vicino alla Torre. Non vive più con i genitori ma si è trasferita in una piccola mansarda parigina che sta a poche centinaia di metri dal piccolo albergo. Jackie mi dice che stiamo andando proprio all’albergo. Oggi si è presa una giornata di vacanza ma deve passare un attimo per comunicare al suo sostituto alla Reception alcune precisazioni sui loro nuovi clienti in arrivo nella serata. All’improvviso frena e inchioda. Se avessi avuto la dentiera mi sarebbe certo volata via. Mi dice che siamo arrivati. L’alberghetto è una costruzione antica a più piani. All’entrata vedo due alberi di natale addobbati con palline bianche, rosse e blu, in pieno gusto nazionalistico. Jackie entra e mi fa cenno di seguirla. Parla con un giovane uomo alla reception. Parlano velocemente, non capisco una sola parola. English, please, mi viene da dire. Ma non stanno parlando con me. Dopo una discussione animata, Jackie si ricorda di me e mi presenta al suo collega. Il collega si chiama Jean-Paul. Come Jean-Paul Belmondo mi dice lui e sottolinea Belmondo perché è una parola italiana. Forse crede che così ci capiamo meglio. Ma io se parlano piano li capisco, faccio presente. Jean-Paul ha due baffetti rossicci che sembrano posticci. Decido che per me Jean-Paul sarà Baffetti. Baffetti mi dice che Jackie è una donna molto dolce, simpatica, gentile e molto generosa. Me lo può assicurare. Baffetti mi dice ancora di godermi questa mia settimana parigina. Dice che sarà divertente ma anche stancante e che alla fine di sicuro non vedrò l’ora di tornare a casa perché le vacanze sono sempre così. Alla fine provi nostalgia.

Jackie decide che le mie valigie per adesso le lasciamo alla reception dell’albergo. Baffetti le terrà d’occhio. Infatti è quasi ora di pranzo e non passeremo alla sua mansarda che per sera. Io avrei voluto rinfrescarmi un po’ prima di uscire. Ora non ho fame. Ma quello che voglio fare io non conta. Conta che è quasi ora di pranzo e bisogna subito andare a mangiare se no non troviamo più nulla. Guardo l’orologio e per me le undici e mezza sono presto. Per Jackie e Baffetti invece le undici e mezza sono tardi.

La Brasserie preferita di Jackie non è lontana dall’albergo. Solo qualche minuto a piedi. Sono emozionato. Respiro finalmente l’aria frizzante di Parigi. L’arte è intorno a me. I cafè letterari e degli artisti sono attorno a me. I parigini con le baguettes sono attorno a me. Tutto scintilla. Jackie mi guarda e dice che sono carino ma ho un’aria buffa. L’aria buffa non mi è nuova. Ma merci beaucoup per il carino. Anche lei è carina con quei capelli corvini e quelle grandi tette. Ora poi ha gli occhiali da sole e non si vedono quegli occhi cerulei, grigi come il cielo sopra Parigi.

Ci sediamo a un tavolo. Chiedo indicazioni per il bagno e lascio ordinare a Jackie. Lei dice di fidarsi. Dice che conosce il menù e sa il fatto suo. Ok Jackie, mi fido ma ora mi scappa la pipì. Il bagno è piccolo ma pulito. Finalmente posso rinfrescarmi un po’. Sono ancora un po’ stordito dal volo. Acqua fresca è quel che mi ci vuole. Mi soffio il naso, mi tolgo una cispa dall’occhio. Con la mano mi pettino i capelli. Torno al tavolo. Torno e scopro che al tavolo adesso siamo in quattro. Il cameriere nel mentre ha unito tutti i tavolini in un’unica bancata. Jackie dice che si usa così. Si usa unire i tavolini per far socializzare i clienti mentre mangiano. Io mentre mangio farei anche a meno di socializzare con sconosciuti. Io sono lì per socializzare con Jackie. Voglio vedere Parigi ma soprattutto in questo momento sono qui per riempire lo stomaco senza ingurgitare più aria del necessario. Ma i nostri vicini di tovagliolo stanno al gioco del cameriere. Scopro che il ragazzo nero di fianco a me è un americano della Louisiana mentre la donna bianca e slavata seduta di fronte a lui è la sua ragazza. Mi parla in americano e lo capisco benissimo. Diventiamo amiconi. Lui e la ragazza sono in Europa per un viaggio di due mesi. Sono appena arrivati in Francia, proprio come me. L’Italia è la loro prossima meta. Mi chiedono qualche consiglio. Sono due simpaticoni. Arriva l’entrèe. Per me Jackie ha ordinato un passato di cavolo e verdure varie. Anche gli americani hanno preso lo stesso. E’ il meglio. Ci guardiamo schifati mentre lo sorseggiamo. Jackie lo adora invece. Niente primo piatto, si va subito al secondo . Ovviamente anatra arrosto e paté di fegato d’oca. L’anatra è buona ma è poca. Il paté invece è molto e lo lascio. Jackie dice che non lo si può lasciare perché se no si offendono. E’ una cosa prelibata, il paté. Così si sacrifica e lo ingurgita tutto lei. Ci alziamo e saluto les américaines. Dopo tutto è stato un piacere conoscerli. E provo un po’ di dispiacere a lasciarli andare via così, senza neanche scambiarci un recapito o il contatto facebook. Un po’ meno piacevole invece è stato il pranzo. Ma Jackie non ne ha colpa. Jackie è gentile con me e mi ospita nella sua mansarda. Quindi offro io e usciamo dalla Brasserie. Ora però  sì che ho fame! 

fine della prima parte








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