Sono in fila sotto la Torre assieme a Jackie.
Passiamo l’intera serata in fila. Una fila chilometrica. Cala il buio e cala un freddo cane. Mi sento come fossi in un ghiacciaio. Vedo i pinguini in fila davanti a me. Hanno cappucci, giacche e sciarpe. Camminano lenti verso la biglietteria. C’è la fila per i biglietti e c’è la fila per entrare. Poi la fila per salire sull’ascensore. Anche io sono un pinguino. Jackie è una pinguina dai capelli corvini. Io però soffro il freddo più degli altri. Sto per morire assiderato. Fortuna che Dio mi tiene in vita. Forse Dio sta progettando di far cadere l’aereo al ritorno e gli servo ancora vivo. Io e Jackie adesso siamo dentro. Finalmente siamo sull’ascensore verso la prima terrazza della Torre ed abbiamo di nuovo le nostre sembianze. Penso che la Torre vista da vicino sia molto più bella. Non è come sembra da lontano. Non è uno stupido ammasso di ferraglia. Mi sbagliavo. E’ bellissima, invece. E’ tutta illuminata, c’è tanta gente dentro. Persino dei negozi. Quando usciamo nelle terrazze ci trasformiamo di nuovo in pinguini. Batto letteralmente i denti per il freddo. Non mi godo il panorama. Giuro che la prossima volta che torno a Parigi, ci vengo a primavera con lo scioglimento dei ghiacci. Siamo sull’ultima terrazza, Parigi by night è così bella che cerco di scattare qualche foto. Ci esce anche un autoscatto di me e Jackie. Al negozio di souvenir compro qualche cartolina da spedire ai miei e una miniatura della Torre per mia Nonna che colleziona tutti i monumenti del mondo. Decido che una cartolina la spedisco anche a casa mia, indirizzata al mio Pirandello. Spero che mio fratello si stia occupando di lui al meglio come gli ho tanto raccomandato.
Sono passate molte ore. Ho già visto un importante pezzo di Parigi e sono contento. La Torre e i campi di Marte mi affascinano. Nei prossimi giorni Jackie lavora ma posso tornarci da solo quando voglio. Per la visita ai musei Jackie mi dà molti consigli e informazioni. Non è difficile spostarsi con tutte quelle linee di metropolitana. Sulla strada verso l’albergo compriamo due panini al prosciutto e formaggio e qualche bibita. Jackie non cucina. Menomale, penso. All’albergo ora non c’è Baffetti ma un altro tizio ha tenuto d’occhio la mia valigia per tutta la serata. La mia valigia pesa una tonnellata. Colpa mia che mi sono portato tutti i miei maglioni pesanti dell’armadio perché ho paura del freddo di Parigi. Io un freddo così non l’ho mai sentito da nessuna parte. E’ un freddo che ti paralizza. Mi paralizzo ancora di più quando scopro che il palazzo della mansarda di Jackie è un palazzo molto antico e non ha ascensore. La mansarda si trova al quinto piano e per raggiungerlo si percorre una ripida e stretta scala a chiocciola. Grido pietà mentre trascino la valigia su per i terribili gradini cigolanti. Più che maglioni pare contenga dei tonni belli grossi. Arrivo su senza fiato. Sono stanco e infreddolito. Debilitato e affamato. La mansarda di Jackie è una catapecchia. Fatta tutta di assi in legno, fili elettrici che penzolano dal soffitto e passano da una camera all’altra. Non ci sono finestre ma solo tre lucernari. Quel buco del mio appartamento al confronto è una reggia. Mi chiedo se in Francia questo sia tutto a norma. In Italia non penso.
La mansarda è composta da: una grande stanza dove trovano spazio la cucina e un letto matrimoniale sul fondo; da un bagno a cui si accede tramite una porta scorrevole; e da uno stanzino che Jackie usa come dispensa e dove ha sistemato un letto singolo. Ora non ho voglia di pensare. Mangio quel panino, bevo un sorso d’acqua. Mando un messaggino a mio fratello per dirgli che sono ancora vivo e per chiedergli del gatto. Breve passaggio al bagno. Indosso il pigiama e chiedo a Jackie se il mio letto sia quello della dispensa. Jackie mi dice che no, il mio è quello matrimoniale, ci dorme lei nella dispensa. Non ho voglia di discutere. Le do la bonne nuit e mi infilo sotto le coperte. Mi accorgo che c’è tanto freddo anche nella mansarda. Lo dico a Jackie. Forse ha una coperta in più, mi dico. Jackie esce dal bagno e mi dice che ha lei la soluzione. Mi dice di spogliarmi. Le dico che spogliarmi non mi sembra la soluzione adatta, anzi. Ma Jackie mi dice di fidarsi di lei. Mi fido. Mi spoglio. Ora sono nudo. Jackie si spoglia ed entra nel mio letto. Dice che mi scalderà lei. Vuole fare l’amore con me. Ma io non credo di amarla e glielo dico. Sono proprio un cretino romantico dal cuore spezzato e non amerò mai più. Allora chiamiamolo semplicemente sesso, dice. Non vuole che tocchi proprio a lei dover smentire lo stereotipo del maschio-marpione-seduttore italiano con le straniere. Così poggia le sue grandi tette sul mio petto e sebbene io sia stanco morto accetto di buon grado di essere riscaldato. Le sue argomentazioni sono ineccepibili. E lo facciamo.
Mi sveglio. E’ già luce. L’unica cosa che ho ancora addosso è l’orologio. Guardo l’ora, è ancora presto. Da qualche parte suonano La Vie en rose. Forse l’ascolta qualche vicino di mansarda. Mi sembra di essere in un sogno. La musica accompagna i miei pensieri. Mi giro e Jackie dorme ancora. E’ completamente nuda e scoperta. Si vede che non soffre il freddo. La sua pelle candida contrasta con i suoi lunghi capelli corvini. E’ bella Jackie. All’improvviso il colore del cielo di Parigi fa capolino dai suoi occhi. Si sentiva osservata, dice. Sorrido. Lei sorride. Dice che vuole di nuovo fare l’amore con me. Subito. Appena sveglia, desidera questo buongiorno. Lo fa per me – dice – vuole riscaldarmi per affrontare meglio il freddo parigino che mi attende là fuori… Così lo facciamo di nuovo. E’ di nuovo bellissimo come ieri notte. Poi io mi infilo i calzoni e vado a preparare la colazione. Metto a scaldare il latte in un pentolino sul gas dei fornelli. Jackie mi raggiunge e mi dà le indicazioni per trovare il caffè nella dispensa. Faccio anche il caffè. Jackie ha una piccola caffettiera che non usa spesso ma per me va bene. Beviamo un caffèllatte italiano, come lo chiama lei. Poi mi spinge sul bancone e mi sfila i pantaloni. Vuole farlo di nuovo, questa volta sul bancone della cucina. Non è ancora sazia. Tre volte nel giro di un paio d’ore. Un record per me, penso. Da sfinimento. Ma non mi tiro indietro.
Oggi passo l’intera giornata al Louvre. Accompagno Jackie all’albergo e proseguo da solo un po’ a piedi e un po’ usando la metropolitana. Il Louvre è immenso e ci rimango un’intera giornata. Sono convinto di aver visto tutto ma poi mi accorgo di aver visto solo una piccola parte di questo grande museo. La Monna Lisa mi guarda da dietro il plexigas con sguardo beffardo. Sa tutto di me, penso. Sa della mia vita. Se la ride. La guardo e sottovoce le rispondo che non c’è proprio niente da ridere, cara Lisetta. Tu piuttosto, costretta a rimanere qui dentro, prigioniera di questa stanza, con tutta questa gente che ogni giorno ti guarda e ti osserva. Davanti a tutti questi flash, costretta a sorridere forzatamente a ogni scatto, anche quando non ne hai voglia. Un po’ di respiro soltanto la notte quando cala finalmente il silenzio. Dura la vita da star. Nella vana attesa che il tuo Leonardo ritorni. Dietro a quel sorriso credo proprio che ci sia tanta amarezza ormai. Lisa cara, pensa agli affari tuoi che ai miei ci penso io.
Nei giorni seguenti faccio il tour di tutti gli altri musei. Amo l’arte in tutte le sue sfaccettature. Una giornata io e Jackie la passiamo alla Reggia di Versailles. La temperatura è sotto zero e così anche gli zampilli delle fontane dei grandi giardini sono incredibilmente ghiacciati, bloccati nel tempo e nello spazio. Quasi non riesco a camminare, credo che anche il mio sangue sia lì lì per solidificarsi. Meno male che c’è sempre Jackie pronta a scaldarmi, in ogni momento della giornata.
Mi innamoro di Montmartre e del quartiere degli artisti. Pittori e disegnatori ad ogni angolo delle strade, un’atmosfera magica e di altri tempi. Mi sembra di essere finito in uno di quei romanzi del 1800 o inizi 1900. Forse con un po’ di fortuna potrei riuscire a imbattermi in Zola, Dumas, Hugo, Verne e chissà in quanti altri. E invece ci imbattiamo in un sexy shop. Jackie mi trascina dentro e passo dal pieno romanticismo all’esibizione di attrezzi per il piacere sessuale di vario genere. Jackie acquista qualche completo intimo particolare, questi sono commestibili, dice lei. Si possono mangiare. E così quella notte ceniamo a letto a base di biancheria intima alla frutta.
Ed ecco finalmente il 31 Dicembre. L’anno è finito ed io e Jackie decidiamo di festeggiare l’arrivo di quello nuovo sotto la Torre Eiffel.
Ci sono migliaia di persone attorno a noi. La torre è bellissima, è illuminata a giorno e ci sono dei giochi di luce che la percorrono in lungo e in largo. Qualcuno scoppia dei petardi. Nel cielo invece fanno capolino a intervalli regolari dei bellissimi fuochi d’artificio. C’è polizia dappertutto e tanta gente ubriaca. In questa occasione speciale la metropolitana è gratuita e uscire dal sottopassaggio ha richiesto una buona mezzora, stipati come sardine manco fossimo ad un concerto degli U2. Sarebbe bastato un piccolo allarme per far sì che quel branco festaiolo mi schiacciasse come una formica. Arriva la mezzanotte. La torre si spegne all’improvviso, buio completo. Poi si riaccende di colpo, luminosa nella notte mentre impazza dappertutto l’allegria e coloratissimi giochi pirotecnici invadono il cielo di Parigi. Io e Jackie ci baciamo sotto la Torre. Io non la amo sul serio, e manco lei mi ama sul serio. È stata solo un’avventura. Mi accorgo però che questa parentesi parigina mi ha restituito la voglia d’amare, mi ha restituito la speranza che avevo quasi perso. Il vero amore mi aspetta. Grazie Jackie, tu e Parigi avrete sempre un posto nel mio cuore.
Adesso sono di nuovo sull’aereo, di ritorno vero la mia bolla spazio temporale. Verso il mio purgatorio personale. Ricomincia il supplizio. Ugo ritorna alla missione. Ugo, telefono casa e Pirandello.
Incontro Gilberto all’Eat Parade. Non è solo, stavolta è in compagnia. Lei è una ragazza slavata, cicciotella, un po’ sboccata. Però è simpatica. Si chiama Livia ed è la ragazza che ha conosciuto nella chat. Gilberto ha lo sguardo trionfante, di chi mi vuole dire visto-che-avevo-ragione? Credo che a questo punto Gilberto debba avere qualche dote ben nascosta, molto ben nascosta. Li guardo e penso sia strano vedere Gilberto di fianco a una ragazza rimorchiata online. Mi chiedo, come farà Livia a sopravvivere alle battute, all’alito e ai baci di Gilberto? Forse anche Livia deve avere qualche difettuccio, deve essere un po’ pazza per stare con uno come Gilberto. Poi però mi accorgo di essere cattivo a fare questi pensieri, sono sinceramente felice per loro invece. Adesso, volente o nolente, c’è pure Livia nella mia vita, una nuova presenza in questo anno nuovo. Qualcosa comincia già a cambiare.
L’indomani usciamo in tre a mangiare una pizza. Racconto del mio viaggio a Parigi, mostro loro le foto. Non appena vedono le immagini di Jackie vanno entrambi in visibilio. La mia ragazza francese è bellissima. Cerco di spiegare che Jackie è stata solo un’avventura ma anche Livia non mi sta a sentire e fa apprezzamenti pesanti sulle tette di Jackie. Ora capisco quanto lei e Gilberto si somiglino.
Mentre mangiamo ho la sensazione di essere osservato. Quando mi giro scopro di aver ragione. Al tavolo alle mie spalle vi è un gruppo di miei amici. Si tratta di Affy, Laura, Fotograffio, Ludmilla, Carla, Ben e Leonardo. Conversano amabilmente davanti alle loro pizze fumanti, è proprio una bella tavolata. Mi alzo per salutarli e per augurare loro buon anno. Ci scambiamo baci e abbracci. E’ davvero bello rivederli. E ci lasciamo con l’augurio di rivederci presto.
A fine serata, lasciato il locale Livia e Gilberto si uniscono a me per fare due passi nella notte. Tra di loro si scatena all’improvviso una poderosa gara di rutti. La birra e la cola hanno fatto effetto. Ora non ho più dubbi. Sono davvero fatti l’uno per l’altra…
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Ugo vi dà appuntamento al nuovo anno con le sue nuove avventure. Buon 2014 a tutti! Che sia un anno di salute, successi e desideri realizzati! E che la crisi faccia finalmente un passo indietro. Ne abbiamo tutti veramente bisogno. Enrico M. Scano